
Conosci “Il dilemma dell’istrice”? No? Ora te lo spiego. Ci sono due istrici che per scaldarsi l’un l’altro si avvicinano, ma più si avvicinano e più si feriscono a vicenda con i loro aculei. Quindi si allontanano, ma il bisogno di calore li costringe a riavvicinarsi, ferendosi nuovamente. E continuano così, fino a trovare una posizione media che li permetta di non morire assiderati senza che nessuno dei due si faccia troppo male.
Questa è la brillante soluzione trovata dal filosofo tedesco Schopenhauer al dilemma che egli stesso si pose utilizzando gli istrici, animali solitari, come rappresentazione degli esseri umani. La metafora parla di noi infatti. Di due persone che si legano sentimentalmente al punto da soffrire entrambi anche se il dolore è di uno solo. Parla di due esseri con un interesse reciproco così vivo, da stare male per la più minuscola incomprensione tra loro. Racconta del nostro bisogno di stare insieme a qualcuno, ma allo stesso tempo, del mantenere i propri spazi. Gli aculei rappresentano ogni ansia che ci attanaglia, e sono lo scudo per difenderci dalla nostra paura più grande: quella del soffrire a causa di chi amiamo. Il Filosofo ci dice che la soluzione ideale a questo dilemma sarebbe la presenza di abbastanza calore all’interno di un solo individuo da potersi scaldare autonomamente senza la necessità di avvicinarsi a qualcun altro. Ma è possibile? è possibile superare il nostro costante bisogno di sentirci parte di qualcosa? e poi saremmo davvero in grado di tenerci abbastanza a distanza da chi desideriamo solo per evitare di stare male? vale la pena non vivere per paura di soffrire? la bellezza del primo bacio è abbastanza da superare il peso di un eventuale addio?
Una volta ho visto un video di un riccio che si faceva coccolare con un massaggio sulla parte di corpo non ricoperta dagli aculei. E sembrava davvero piacergli. Allora ho pensato: e se fosse questa la soluzione? starcene a pancia all’aria, mostrandoci per quello che siamo. Nudi. Deboli. Abbandonando ogni paura. E ogni difesa. Facendoci amare per quello che siamo e non per quello che gli altri volessimo fossimo. Nella speranza che nessuno ci ferisca.
P.S. La canzone “Istrice” della band torinese Subsonica si ispira a questa teoria. Io l’ho scoperta ascoltandola.
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